Le due conferenze organizzate da ETRA a Monfalcone e avute luogo venerdì 04 aprile 2014 (arch. Silvia Bodei) e giovedì 10 aprile 2014 (prof. Benno Albrecht) all'Europalace Hotel di Monfalcone all'interno del ciclo La rigenerazione urbana. La cultura della sostenibilità, con il patrocinio del Comune di Monfalcone e la promozione dell'Ordine degli Architetti P.P.C. di Gorizia, hanno riservato varie piacevoli sorprese. La prima riflessione è che partendo da tematiche apparentemente lontane da un contesto territoriale specifico si possono trarre spunti utili per nuove analisi su quello stesso contesto. La seconda è che il ogni incontro tra professionisti e cittadini può essere spunto per un dibattito che permette di mettere a fuoco, meglio di molte strategie "a tavolino", alcuni processi e forse anche procedure significative per la pianificazione urbana in genere.
L'arch. Silvia Bodei era chiamata a trattare un tema poco conosciuto, anche dalla stessa critica, nello studio dell'opera architettonica di Le Corbusier, allorchè si trovò a confrontarsi con un imprenditore simbolo di una generazione, Adriano Olivetti e quindi i suoi eredi.
L'arch. Silvia Bodei e sul fondo il progetto di le Corbusier |
Il progetto per il Centro di calcolo elettronico a Rho è stato illustrato a partire dalla sua evoluzione progettuale e linguistica, ma anche dal rapporto tra professionista e committente. Diventa così chiaro, attraverso le parole della relatrice, che Le Corbusier dovette sottostare, dopo la morte di Adriano Olivetti, a continui cambiamenti del suo progetto, costituito nei suoi elementi principali da una piastra modulare grande come Piazza San Marco a Venezia e da una torre direzionale distesa, alla prima sovrapposta. Quella "torre", dall'andamento planimetrico a boomerang nella prima versione, subì continue modifiche fino alla sua rettificazione, tanto che Le Corbusier decise di usare per la soluzione finale la tipologia dell'unitè d'abitation marsigliese, calandola pari pari sopra la piastra progettata. Provocazione o forse consapevolezza che definita una tipologia "perfetta" questa non poteva che essere copiata. Ma utile è stato vedere gli schizzi dell'architetto svizzero naturalizzato francese, capire la maturazione dell'idea progettuale e soprattutto confrontarsi con un'idea di sostenibilità ante litteram, laddove la fabbrica era pensata appunto come Usine Verte e non come fabbrica-macchina. Il luogo della produzione si confrontava continuamente con l'ambiente, mentre nelle soluzioni costruttive emergevano già elementi costruttivi propri dell'attuale ricerca sull'architettura per la sostenibilità: il tetto verde, le grandi vetrate, lo spazio aperto racchiuso nelle corti interne. Se il risultato può alla fine sembrare non commisurato alle idee che lo muovono, non possiamo non interrogarci sul contesto storico in cui è stato pensato. Eravamo all'inizio del boom economico, del disastro edilizio e dell'uso sconsiderato di suolo. Conta forse oggi, per considerare la portata di quel progetto, ragionare più sui principi messi in campo che sul risultato finale, peraltro mai tradottosi in realtà. Quel progetto non fu mai realizzato, mentre lo furono altri di certo meno lungimiranti. Agli architetti presenti alla conferenza è parso utile confrontarsi alla fine della relazione sul rapporto architetto e committente, pervenendo a valutazioni molteplici e antitetiche, ritrovando quindi un proprio ruolo di intellettuali che la professione, per come è andata sviluppandosi negli anni, a volte non consente. E' anche questo un risultato culturale.
In tale direzione si è svolta anche la conferenza del prof. Benno Albrecht. E' stato il suo un rapido e intenso excursus su come si sono sviluppati storicamente alcuni dei principi centrali dell'architettura per la sostenibilità. Il pensiero di Wiliam Morris e il suo "sogno" di un futuro sereno e dominato dal verde (a differenza delle immagini di futuro proprie dei film di fantascienza visti dagli anni '80 in poi), le riflessioni di Ruskin e il libro di H. G. P. Marsh, L'uomo e la natura: ossia la superficie terrestre modificata per opera dell'uomo, del 1865, hanno consentito ad Albrecht di far capire come il pensiero della sostenibilità sia emerso e sviluppato parallelamente al presentarsi delle criticità introdotte dalla rivoluzione industriale e delle esigenze di urbanizzazione del territorio.
Il prof. Benno Albrecht e il volto di H.G.P. Marsh sull'etichetta del Bel Paese |
Dalle riflessioni sul passato alla presa di coscienza dell'oggi, del consumo di suolo, della perdita di significato dell'architettura come espressione di una dimensione storica (in molte lingue, come avviene in Francia, "sostenibilità" si traduce con "durabilità", durabilité), e conseguentemente di una propensione allo spreco. Tutta la riflessione di Albrecht si sviluppa attorno alla consapevolezza di come il pensiero della sostenibilità vada affrontato sul piano culturale, prima che sul tema tecnologico, essendo quest'ultimo un "sottoprodotto" importante del primo. Il dibattito scaturito è stato intenso, portando la discussione sul ruolo dei tecnici dell'aministrazione pubblica e della politica nella gestione della strumentazione urbanistica. Ne è emerso il ruolo ancora importante di scelte decisionali forti; sono scaturite riflessioni su esperienze di gestione urbana italiane e estere, riuscite e meno. A conclusione dell'incontro la presentazione in anteprima dell'importante mostra sull'architettura in Africa e la gestione dello sviluppo dell'urbanizzazione nel continente africano che si terrà alla Triennale di Milano ad ottobre 2014 e di cui il prof. Benno Albrecht è curatore. ETRA seguirà questa iniziativa, valutando l'opportunità di promuovere una visita guidata all'esposizione.